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CRESME: CRESCE IL NUMERO DI EVENTI ALLUVIONALI DI GRAVITA' MEDIO-ALTA: NEL 2018-2023 + 30% RISPETTO AL QUINQUENNIO PRECEDENTE

In Italia negli ultimi 11 anni si sono verificati circa 200 eventi alluvionali di dimensioni medie e grandi che hanno portato un totale di 160 vittime. Si è passati da una media di 16,6 eventi all’anno nel periodo 2013-2017 a una di 21,7 eventi all’anno nel periodo 2018–2023, con un incremento del 30,4%.  Il numero di vittime è passato da 13,8 nel periodo 2013-2017 a 14,3 nel periodo 2018–2023, con ulteriore incremento del 3,9% nonostante il livello di partenza già alto. Queste cifre danno la dimensione di un fenomeno che si va intensificando e che bisogna affrontare con politiche adeguate, di prevenzione oltre che di risposta alle emergenze. E' quanto afferma il Cresme in una delle sue recenti pubblicazioni. 

Gli anni peggiori in termini di perdita di vite umane sono stati il 2013, il 2018 e il 2023. Nel 2013 i principali eventi sono stati 19 e le vittime 25; tra queste si ricorda l’alluvione che colpì il 18 novembre la Sardegna con 17 morti e un disperso, oltre ad alcuni feriti e qualche centinaio di sfollati. Nel 2018 si sono verificati 10 eventi gravi con 28 vittime, delle quali 20 coinvolte nella piena improvvisa del torrente Raganello (Civita, CS) il 20 agosto. Nel 2023 si contano 19 eventi, di cui 5 mortali (25 vittime) avvenuti in Emilia-Romagna a maggio, a Bardonecchia e in Valtellina entrambi ad agosto e in Toscana a novembre.

Gli eventi più drammatici di questi undici anni

Considerando gli eventi di dissesto in termini di danni arrecati tra gli anni peggiori si ricorda il 2014, quando si verificarono 13 eventi alluvionali che provocarono 20 morti ma ingenti furono i danni economici soprattutto connessi agli eventi che nel mese di ottobre interessarono per settimane tutta l’Italia centro settentrionale (con una ripresa di questi fenomeni in quelle aree anche a novembre). Quell’anno l’evento del 9-11 ottobre colpì Genova e il suo entroterra con  piogge particolarmente intense e molto localizzate, il cui valore massimo, pari a 135 mm in un’ora, è stato misurato a Geirato (collina genovese) la sera di giovedì 9, con un totale di 754 mm nei cinque giorni tra martedì 7 e sabato 11. Le piogge hanno interessato anche il ponente di Genova, in particolare Cornigliano, Coronata, Sestri Ponente, Multedo, Pegli e Voltri, causando altri allagamenti. I principali corsi d’acqua e i loro affluenti hanno spesso superato il livello di guardia, tra questi il torrente Polcevera a Cornigliano, il torrente Varenna a Pegli e il torrente Leira a Voltri. I danni causati dall’evento sono stati ingentissimi, la Regione ha stimato per la parte pubblica circa 250 milioni di danni, 100 quelli stimati per le attività commerciali e produttive dalle associazioni di categoria.

L’anno seguente è stato l’anno dell’alluvione in Val Nure e Val Trebbia (13-14 settembre 2015): danneggiati 505 edifici, 11 strade provinciali e circa 200 km di viabilità comunale, con l’isolamento di 80 frazioni. Circa 4000 utenze sono rimaste prive di fornitura elettrica, gas e acqua potabile. I danni sono stati stimati in 88 milioni di euro. A distanza di tre anni, nel 2018, arriva la tempesta Vaia: il vento, combinato con le intense precipitazioni, ha causato un danno inestimabile al patrimonio forestale, con 41.000 ettari di boschi abbattuti e 8,6 milioni di metri cubi di legname atterrato. Distrutte le cosiddette “foreste dei violini” in Val di Fiemme (TN) e in Val Saisera (UD), dove si racconta che Stradivari fosse solito aggirarsi alla ricerca degli abeti di risonanza, quelli rossi plurisecolari, idonei alla costruzione dei suoi violini.

Le aree a pericolosità idraulica elevata sono il 5,4% del territorio nazionale

L’elenco è in continua evoluzione nonostante ci siano stati negli anni azioni congiunte di intensificazione della prevenzione del rischio e della messa in sicurezza del territorio.

Le aree a pericolosità idraulica elevata, allagabili con tempo di ritorno compreso fra 20 e 50 anni, coprono il 5,4% del territorio nazionale (16.224 km2), le aree a pericolosità media, allagabili con tempo di ritorno compreso fra 100 e 200 anni, sono il 10% (30.196 km2), quelle a pericolosità bassa, allagabili in caso di eventi rari o estremi, raggiungono il 14% del territorio nazionale (42.376 km2). Si tratta dunque di un territorio relativamente limitato nel quale però i danni generati dagli eventi sono ingenti e gli investimenti per il ripristino e la messa in sicurezza sono limitati rispetto alle esigenze.

La fragilità di Genova

Osservando la ricorrenza degli eventi nei territori si rileva una maggiore fragilità di alcune aree sia per la violenza con cui vengono colpite dagli eventi sia per l’impatto degli stessi sul sistema economico e sociale. Tra queste emerge ad esempio la città di Genova, colpita negli anni da molteplici eventi alluvionali; secondo i dati IPRI CNR Genova storicamente ha subito 5 eventi di frane e 6 inondazioni che hanno causato 78 vittime, di cui 31 causate da movimenti franosi e 47 da eventi di inondazione. A partire dalla tragica alluvione del 7-8 ottobre 1970, agli eventi degli anni 90, fino agli ultimi drammatici eventi degli anni 2011 e 2014. L’evento del 4 Novembre 2011 fu caratterizzato da precipitazioni intense su aree ristrette, con un valore di circa 500 mm di pioggia caduti sulla città in poche ore. Furono 6 le vittime dell’esondazione del Torrente Fereggiano. Anche nell’evento del 9 ottobre 2014 si registrarono piogge molto intense sulla città e sulle alture, che originarono esondazioni diffuse del torrente Bisagno, del rio Fereggiano e del torrente Sturla, con allagamento di vaste aree del centro cittadino, perdita di una vita umana e danni ingenti.

L’area vesuviana

Un’altra zona particolarmente interessata da fenomeni alluvionali l’Area Vesuviana e le sue Isole dove secondo i dati IRPI CNR (tra 1950 e 2011) si sono verificati ben 154 eventi meteo-climatici responsabili di 161 frane con 309 vittime (morti, feriti e dispersi) e 7.511 tra sfollati e senzatetto. Gli eventi più catastrofici dal punto di vista del numero di vittime sono risultati quelli del 1 maggio 2006 a Ischia (4 morti e 9 tra feriti e dispersi), del 5 agosto 1992 (12 vittime), del 26 settembre 1951 (11 vittime) e del 10 novembre 2009, sempre a Ischia (1 morto e 10 vittime). In particolare, l’isola di Ischia è stata periodicamente interessata da numerosi fenomeni franosi superficiali, colate di fango molto veloci, che spesso hanno provocato morti, feriti, notevoli disagi alla popolazione e grossi danni economici e strutturali. In riferimento agli sfollati, gli eventi più catastrofici sono risultati essere quelli del 30 novembre 1969 (3500 sfollati), del 9 febbraio 1951 (600 sfollati), del 14 giugno 1967 (545 sfollati) e del 1 maggio 2006 (500 sfollati).

Le Cinque terre e la Lunigiana

Un terzo esempio di territorio particolarmente fragile è l’area compresa tra le Cinque Terre e la Lunigiana lungo il fiume Magra. In questa zona nel periodo compreso tra il 1950 e il 2011 gli eventi di dissesto hanno causato 18 vittime (morti, feriti e dispersi) e 1303 tra sfollati e senzatetto. L’alluvione dello Spezzino e della Lunigiana del 25 ottobre 2011 si è verificata a seguito di una forte precipitazione che in circa sei ore ha riversato circa 540-550 mm di pioggia. Nel pomeriggio del 25 ottobre una perturbazione inizia a concentrarsi sulla zona nord delle province della Spezia e di Massa e Carrara. In pochissimo tempo i torrenti affluenti dei principali fiumi esondano, portando a valle ogni sorta di detrito. L’effetto onda di piena si propaga ai maggiori fiumi, Vara e Magra, che dilagano rispettivamente nelle pianure intorno ai borghi di Borghetto di Vara, Brugnato, Ameglia e Pontremoli, Villafranca in Lunigiana ed Aulla. La catastrofe ha colpito in particolare le Cinque Terre: l’acqua ha trasportato enormi quantità di fango e detriti lungo il compluvio naturale nei borghi di Vernazza e di Monterosso. Ingenti anche i danni alle infrastrutture stradali con frane in diverse strade provinciali (e conseguente isolamento di alcune località dell’entroterra). Decine di paesini della Val di Vara sono irraggiungibili se non con elicotteri e le telecomunicazioni interrotte.

Servono manutenzione e prevenzione

Lo stato di fragilità naturale del territorio italiano risulta dunque evidente e l’intensificarsi di fenomeni estremi connesso ai cambiamenti del clima non potranno che comportare effetti disastrosi sempre più frequenti. È pertanto auspicabile intensificare le azioni di manutenzione e opere di prevenzione per riuscire nel lungo periodo a limitare i danni economici e sociali connessi a questo nuovo equilibrio del sistema.

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